Il Loto e l'Arpia



Il tuo sorriso squarcia la mia realtà e mi trasporta in una dimensione dove non sei più cosi sconosciuto.
Ci sono tanti ricordi che si accatastano nella mia mente e me la stipano; tante voci felici che tornano ad eco, nelle mie orecchie.
Vorrei trovare risposte certe a un qualcosa che non so descrivere, forse perché troppo prematuro. Vorrei cantarti quei canti antichi che usavo soffiarti, mentre ti tenevo stretto e sentirmi leggera nel nostro nuovo ritrovarci.
Un peso però, ancora il mio cuore a terra e gli frena l'impeto delle ali che tendono verso il cielo; una me fasciata di veli neri e leggeri, quasi evanescenti, col viso pallido e marcato di nero, con labbra scure, prive di vita...
Una me con capelli corvini, vivi come serpi, con gli occhi sbarrati e iniettati di sangue; una me che con voce tagliente come lama, frena quel cuore invitandolo ad arrestarsi, forse per sempre.
Una luce fa allentare la letale morsa dell'arpia nera e un grido acuto, disperato plasma il cuore alato, in un minuto corpo.
Una creatura delicata, con occhi limpidi ma pieni di perché, si trova ora incatenata tra le metalliche braccia ossute di quell'altra. Le sue vesti bianche si confondono con la sua chioma che si spalma sul suolo.
Coraggio e paura, curiosità e riluttanza, desiderio e oppressione, libertà e catene ... vita e morte.
Come può un fiore di loto, col suo candore e la sua purezza continuare a brillare della sua essenza accanto a erbacce semimorte, velenose e soffocanti?

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